martedì 14 ottobre 2014

“Il ladro di sogni”: Premio Andersen 2013


“Chi si loda si imbroda”... Per una volta voglio un po’ imbrodarmi anch’io. Quello che vi posterò è il racconto che ha partecipato al Premio Andersen 2013 (che si svolge ogni anno a Sestri Levante) e che, ovviamente, non ha vinto! 
Ora avevo già partecipato al concorso anni fa, ma con un raccontino che obiettivamente era una cagata pazzesca (per dirla finemente alla Fantozzi): persino mia madre mi aveva detto che: “Bah, insomma... ne hai scritti di più belli.” E quando te lo dice tua madre...
Ma stavolta il brano aveva passato le selezioni famigliari, facendo piangere entrambi i miei genitori.
Quindi vuol dire che, almeno a loro, qualche emozione sono riuscita a trasmetterla.
Insomma, un pochino stavolta ci avevo sperato, e invece...
Ma vi lascio al racconto: buona lettura!



Il ladro di sogni
Sono un ladro di sogni
e te li ruberò piano piano
Uno, due, tre
Non c'è più alcun sogno per te
Quattro, cinque, sei
Dove sono i sogni miei?

Pamela ripiegò il foglietto e lo ripose con un sorriso sopra ai disegni dei paperi Disney. Strano, non mi ricordo assolutamente di questa poesia, pensò, mentre sfogliava i disegni di Zio Paperone, Paperino, Amelia... Tutte creazioni di quando era bambina. Allineò i fogli compiaciuta, era proprio brava a disegnare... Chissà perché poi aveva smesso? Non se lo ricordava più, cosi come non si ricordava di aver mai scritto quella poesia, eppure la calligrafia era proprio la sua.
Rimise il plico di fogli dentro al primo cassetto della scrivania; aveva fatto bene a ritornare nella casa della sua infanzia, una settimana di pausa dal noiosissimo lavoro d'ufficio ci voleva proprio! E quella cameretta in cui aveva vissuto fino all'adolescenza le evocava sempre piacevoli ricordi. Era esattamente come l'aveva lasciata: con i peluche ancora ammucchiati ai piedi del letto.
Si sedette alla scrivania e prese in mano un quadernetto sottile, con la copertina rigida rossa, e lo aprì: vuoto. Conteneva in tutto una decina di fogli completamente bianchi. Non capiva l'utilità di un quadernetto così piccolo, ma non se ne curò e lo richiuse. Si alzò, andò verso il letto e si lasciò sprofondare nel materasso, avvolta dalla trapunta rosa; era così morbida e accogliente... Improvvisamente si rese conto di avere un gran sonno.

Pamela ha sette anni ed è un'apprendista maga. Ha in mano la nuova bacchetta magica che le ha regalato la zia. Con questa nuova bacchetta sarà in grado di fare magie più potenti e apprenderà nuovi incantesimi più velocemente. Da grande diventerà una grande maga a servizio del bene e sconfiggerà i cattivi, in particolar modo il più cattivo e crudele di tutti: il ladro di sogni. Non è un ladro come gli altri, non si aggira di notte vestito di nero con il passamontagna in testa, il ladro di sogni è sempre in agguato, anche di giorno, ma non lo si può vedere perché è invisibile. L'unico modo per sconfiggerlo è proteggere i propri sogni nel cassetto. Pamela si avvicina alla cassettiera argentata: ci sono 10 cassetti viola, ogni cassetto è numerato e contiene un suo sogno. Pamela  punta la bacchetta contro il cassetto numero tre e pronuncia ad alta voce: «Rivela!» E quello si apre: contiene la sua vecchia bacchetta. Diventare una grande maga, è quello il suo terzo sogno nel cassetto. Sorride soddisfatta, guardando la sua nuova bacchetta magica, sa che presto ci riuscirà, il ladro non riuscirà mai a portarle via quel sogno. «Occulta!», dice puntando la bacchetta verso il cassetto tre, e quello si richiude. È sempre pericoloso tenere i cassetti aperti a lungo, il ladro di sogni potrebbe apparire in qualsiasi momento e portarteli via, solo quando sono ben chiusi e protetti dall'incantesimo sono al sicuro.
Punta la bacchetta verso il cassetto numero due, facendolo aprire con la parola magica; contiene un blocco da disegno e delle matite; la piccola Pamela sa che non smetterà mai di disegnare le creature e i luoghi fantastici che ha visto con la sua immaginazione; li mostrerà ai grandi che non li hanno mai visti e a quelli che non se li ricordano più. Richiude il cassetto con un colpo di bacchetta. Punta la bacchetta verso il suo sogno numero uno, il più importante. Sta per pronunciare la parola magica, quando con la coda dell'occhio nota che manca qualcosa.
Il numero sei!
Il numero inciso sul cassetto è sparito. No, non può essere, perché ricorda ancora cosa conteneva, quello è il suo desiderio di… di… Vuoto. Rimosso. Pamela sospira: il ladro di sogni ha colpito ancora. Il giorno del suo compleanno, di nuovo, come l'anno scorso. Lo sapevo, lo sapevo, pensa, dovevo stare più attenta! Ogni anno che passa quel ladro malefico porta via un pezzo. «Ma questa è l’ultima volta!», promette a sé stessa. «Non ti permetterò di rubare ancora!»

Pamela si stropicciò gli occhi: aveva solo un ricordo confuso, eppure era sicura di aver sognato la sua infanzia. Si stiracchiò e si alzò da letto. Passando accanto alla scrivania, notò che il quadernetto rosso era aperto. Strano, pensò, eppure ero convinta di averlo chiuso. Poi vide uno scarabocchio sull'angolo della pagina, in alto a sinistra. Si avvicinò e prese il quaderno in mano: non era uno scarabocchio, ma un quadrato con all'interno il numero uno. Istintivamente si guardò intorno: che qualcuno fosse entrato mentre dormiva? Scosse la testa: no, non aveva alcun senso; perché mai entrare di nascosto e scrivere un numero su un quaderno? Sorrise a quella sciocca congettura: era evidente che il numero c'era già, solo che prima non l'aveva visto, ovvio! Chissà però che significava? Sicuramente era un qualche gioco di cui aveva dimenticato le regole; sorrise con tenerezza ripensando alla sua ingenuità infantile.

La piccola Pamela ha otto anni e ora sa cosa deve fare. La cassettiera non funziona più da quando ha perso la bacchetta, e il ladro diventa sempre più potente, quest'anno sono spariti addirittura due sogni! Il cinque e persino il numero tre, eppure sembra impossibile, le sembrava così importante il 3, ma perché diavolo non riesce a ricordare cos’era? C’è solo un modo per non permettere che i sogni volino via. Apre un quadernetto rosso e inizia a scrivere.
Una donna la sta osservando, si avvicina, «E tu chi sei?», le chiede.
«Sono Pamela!», le risponde, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Ti chiami come me.»
La bambina sgrana gli occhi, al colmo dello stupore: «Non mi chiamo come te, io sono te!»
«Cosa? Com'è possibile?»
«Io sono la bambina che è in te, come puoi non riconoscermi?» Il suo viso si fa triste e abbassa lo sguardo. «Non mi conosci più perché ti sei dimenticata di me.»
«Io... Io... Non so... Non credo.»
La bambina le corre incontro aggrappandosi alla sua maglia: «Oh no, ti prego, non lo fare, non dimenticarti di me, ti prego, è l'unico modo che abbiamo per sconfiggere il ladro di sogni.»
«Il ladro di sogni?»
«Si, colui che ce li ruberà tutti quando saremo grandi. Non farlo, non permetterglielo. Oh ti prego, hai promesso che non te ne saresti mai dimenticata, nemmeno da grande. Non puoi farlo vincere, lo hai promesso!» Urla singhiozzando.
Pamela delicatamente abbraccia la piccola.
La bambina si libera dall'abbraccio, poi si asciuga gli occhi con la manica. Alza il faccino verso di lei, guardandola con quegli occhioni umidi: «Oh ti prego, Pamela, non permettergli di vincere, non permettergli di rubare i tuoi sogni, ricordati di me.»

Pamela sbatté gli occhi; aveva i gomiti appoggiati alla scrivania e lo sguardo fisso contro il muro davanti a lei: aveva avuto un’allucinazione, aveva sognato tutto o erano affiorati dei vecchi ricordi? Guardò il quaderno aperto davanti a sé: «No, non è possibile!» Erano comparsi altri due numeri.

Pamela adulta è nel giardino di casa. Poco distante scorge la piccola Pamela, ha circa dieci anni; suo padre la sta rimproverando, poi si gira e se ne va mentre la piccola scoppia in lacrime. Pamela adulta corre verso la piccola urlando: «Non gli credere, non gli credere! So cosa ti ha appena detto, ma non è vero!»
La piccola Pamela sta singhiozzando: «Non diventerò mai…»
«Non è vero, non dargli retta!», la interrompe.
«Invece ha ragione, sono solo stupidaggini», guarda i fogli stracciati ai suoi piedi, «La magia non esiste! E io non diventerò mai una grande maga.»
«E invece no! Si sbaglia, e ora te lo dimostrerò.»
Pamela adulta chiude gli occhi e poco dopo una bacchetta appare nella sua mano.
La piccola sbatte gli occhioni: «Ma quella è…»
«Sì, è la nostra bacchetta magica.»
«Pensavo di averla persa.»
«No, è sempre stata qui con noi, solo che non riuscivamo più a vederla. E ora ti mostrerò un'altra cosa... Il ladro di sogni.»
«Ma è impossibile! E' invisibile!»
«E' qui che ti sbagli, ora so che aspetto ha e te lo mostrerò.»
Pamela adulta punta la bacchetta dritta davanti a sé e dice: «Rivela!» Una scia di fumo bluastro compare davanti a lei e inizia a fluttuare assumendo varie forme: dapprima si materializza l'immagine di suo padre, poi quella di sua madre, poi cambia nuovamente assumendo la forma di suo zio, di alcuni suoi compagni di scuola, insegnanti...
La piccola tira su col naso: «Ma come? Non capisco, cosa c'entrano loro?»
Pamela sorride, affettuosa: «Non ti è chiaro? Il ladro di sogni è formato da tutti coloro che a poco a poco hanno rubato un pezzo di te, infrangendo i tuoi desideri, le tue speranze; è stata un po' ladra tua mamma quando ha buttato via la bacchetta magica dicendo che eri troppo grande per giocarci, è stata un po' ladra la tua compagna di banco Claudia quando ha preferito il disegno di Marco al tuo dicendo che lui era più bravo di te a disegnare (e stato allora che ti sei convinta che non saresti mai diventata una brava pittrice o sbaglio?), è stato un po' ladro quel ragazzino di seconda media, Paolo, per cui avevi una bella cotta, che ha preferito quell'antipatica di Micaela a te (è stato allora che ti sei convinta che era meglio non innamorarsi?), è stato un po' ladro tua papà in questo giardino, quando...

«Nooooo!» Pamela si svegliò di soprassalto, era sudata, rannicchiata nella poltrona con la stampa di Wonder Woman, la sua eroina preferita… il sogno numero 6! Pamela spalancò gli occhi: ora sapeva cosa le aveva detto suo padre quel giorno. Si alzò e corse alla scrivania. Aprì il quadernetto rosso, non era più vuoto, tutti i numeri erano tornati al loro posto e ora ne comprendeva il significato: 6) diventare un’eroina e combattere il male come Wonder Woman, 5) diventare ricca per poter aiutare chi ha bisogno, 3) diventare una grande maga, 2) diventare una pittrice… E poi il numero 1, l'unico sogno che aveva conservato, l'unico a cui si era aggrappata, l'unico legame con la sua infanzia…
Aprì il PC portatile, ora sapeva cosa doveva fare: doveva continuare a raccontare storie fantastiche per far sì che nessuno smettesse mai di sognare. Era il suo sogno numero uno, il più importante: diventare una scrittrice. E quel giorno in giardino suo padre aveva torto: i suoi racconti non erano solo stupidaggini, non erano una perdita di tempo.
Sistemò il portatile davanti a sé e iniziò a scrivere:

Sono un ladro di sogni
e te li ruberò piano piano
Uno, due, tre
Non c'è più alcun sogno per te
Quattro, cinque, sei
Dove sono i sogni miei?

venerdì 19 settembre 2014

Agli editori ritardati


Non per fare polemica, ma...
E invece sì la voglio fare!
Io mi chiedo: gli editori contemporanei nostrani soffrono per caso di ritardo mentale?
No no, non lo dico da invidiosa non pubblicata, ma proprio da psicologa. Il mio è un serio interrogativo accademico.
No perché se si guardano (così, la butto lì, eh!) le classifiche dei libri più venduti,generalmente ai primi posti chi ci troviamo? Oltre al fatto che solitamente sono autori americani o comunque anglosassoni, c’è un “piccolo particolare” che dovrebbe saltare agli occhi anche a menti non particolarmente brillanti... Ovvero che i generi di maggior successo sono quelli incentrati sulle storie, e in particolare storie fantastiche, intriganti, non storie di tutti i giorni; mi riferisco dunque a generi quali thriller, fantasy, etc... (se non erro, tra le classifiche best-seller svettano fantasy e chick-lit)
Dunque mi si spiega perché cazzo le case editrici quando organizzano contest letterari si fissano e fanno sempre vincere quei cazzo di romanzi di formazione di merda?!!
Mi riferisco ad esempio alla Giara o a Masterpiece. E allora che cazzo metti a fare che si accetta “qualsiasi genere letterario”? Scrivi chiaramente che accetti solo sti minchia di romanzi di formazione, possibilmente autobiografici, e sei a posto!
Storie di gay raccontate da uno che, toh!, casualmente è gay; violenza sulle donne narrata da una che ovviamente le buscava dal marito, ecc. ecc. ecc. ecc...
Io non sono per la “discriminazione di genere” (letterario), non credo nel genere di serie A e quello di serie B, ma se devo ammetterlo, l’unico genere che mi sta davvero in culo è quello autobiografico, per il semplice fatto che una volta che hai scritto la tua storia, che cazzo scrivi? Per me non sei davvero uno scrittore se non sei in grado di inventarti una storia!
O dovrei forse pensare che Calvino fu davvero dimezzato da una palla di cannone? O che Stevenson riuscì davvero ad evocare il suo io malvagio?
Ecco, ci siamo capiti.
Quindi in sintesi gli editori: 
- non possono certo scegliere questo tipo di “scrittori” per un investimento futuro, visto che sono i meno affidabili, dato che una volta raccontata la loro vita, presumibilmente non avranno altro da raccontare (forse la storia della zia, del nonno, del vicino? Bah...)
- né tantomeno per la dura&cruda legge del denaro, visto che come abbiamo visto non sono neppure i generi più redditizi (no, neppure qui in Italia, di cultura tradizionalmente non fantastica, questi generi spopolano, tant’è vero che in cima alle classifiche svettano sempre gli stranieri!) 
Quindi?
Perché questa scelta insensata?
BAH...

venerdì 2 maggio 2014

Fate il vostro SHOW!


Show don't tell.
Il concetto vittima della più grande INCOMPRENSIONE della storia! Per chi non sa di cosa sto parlando, legga QUI.
Innanzitutto c'è un misunderstanding dovuto alla traduzione: SHOW come MOSTRARE. In italiano purtroppo mostrare rimanda a vedere, guardare, ascoltare, insomma qualcosa che è al massimo riconducibile ai cinque sensi. Ciò, tradotto in soldoni, ha condotto molti sprovveduti scrittori a focalizzarsi su dettagli percettivi di una scena, ovvero a scrivere nei minimi particolari, più o meno rilevanti, ciò che stava accadendo al protagonista.
In realtà ciò è un limite: per cogliere il reale significato della parola show, essa non andrebbe tradotta, esattamente come in italiano nella frase: "Tizio ha fatto il suo show!" Ecco, è questo il concetto: non diciamo "Tizio ha fatto il suo mostrato" , perché non ha senso! In italiano show si può tradurre con "spettacolo". ESATTO. E' questo il senso: non occorre mostrare ogni dettaglio percettivo della scena, ma focalizzarsi su una vicenda, un dettaglio, che abbia significato per la storia, che trasmetta PATHOS. Ovvero bisogna DRAMMATIZZARE la scena, non farcela percepire come se la stessimo osservando al microscopio.
Ora vi farò un esempio di cosa significhi DAVVERO mostrare anziché raccontare: concetto sbandierato e riproposto impropriamente da chi, pur avendo letto milioni di manuali, non ha capito un cazzo!
Non sono i particolari, o soprattutto non è il DETTAGLIO di questi particolari a far la differenza, ma la QUALITA' di essi.


Salgo le scale e sembro non rendermi conto che quella casa è troppo fredda per essere ancora abitata. E non mi riferisco solo alla temperatura, ma proprio al calore umano, ecco. Non sento l'odore di fumo e il caldo secco della stufa accesa, non vedo il vapore della pentola sul fuoco, eppure, per un momento, mentre sono in cima alle scale e apro la porta sulla sinistra, quella della cucina, sono convinta di trovarla ancora lì, seduta sulla sua sedia accanto alla stufa, che si volta verso di me, mi sorride e mi dice: "Ah, sei arrivata, era ora! E' già mezzogiorno, meno male che ti avevo detto di arrivare presto!", mi sgrida sì, ma lo so che non è arrabbiata.
La mia classica risposta sarà: "Eh va be, dai, non è mica tardi!", non lo è di certo per una che come me di solito si alza a quell'ora.
Lei borbotterà qualcosa, ma poi si preoccuperà subito di cosa voglio mangiare.
Ma invece mia nonna non c'è.
La sedia è vuota.
Anzi no, al suo posto ora solo una pila di giornali.
Che nessuno sposta più. 


Non so voi, ma mentre la scrivevo a me ha fatto commuovere… Sarò ipersensibile io… O più probabilmente sarà perché questa scena è vera…
Ma non parliamo di me, vediamo i dettagli: dunque prendiamo ad esempio il particolare dei giornali, perché è importante (e secondo me ricco di pathos)? 
Perché ha un SIGNIFICATO! Non sono giornali messi lì su una sedia alla cazzo, ma era la sedia della nonna morta, QUELLA sedia che ora è abbandonata, nessuno la usa più dopo che lei è mancata, tant'è vero che ora è diventata un ripostiglio per giornali "che nessuno sposta più".
Per me poi ha particolarmente pathos perché conosco la VERA VICENDA e a me fa davvero piangere pensare a questa scena; ora qui dovrebbe vedersi se sono brava a scrivere: se a voi ho trasmesso la stessa sensazione, la stessa commozione che provoca a me (o almeno una parte di essa) ecco, be', allora vuol dire che ce l'ho fatta! Sono riuscita a far provare a VOI, le MIE emozioni!
Questo è scrivere!
Questo è saper raccontare una storia!

Qui si rimanda anche a un'altro aspetto caratteristico del concetto di "mostrare": l'ambiguità. Ci sono i giornali perché la sedia è abbandonata, nel senso che si sono già dimenticati della nonna, oppure al contrario nessuno ha più coraggio di sedersi e le stanno inconsciamente riservando il posto?
Scena ambigua.
Come l'ambiguità della vita. Starà allo scrittore decidere se dare un senso nell'una o l'altra direzione a seconda del significato della storia oppure lasciar trasparire l'incertezza dei personaggi.
Lì sta la bravura.
Dare l'impressione che i personaggi si muovano da soli, mentre lì dietro qualcuno sta tirando le fila.


In questa frase invece:

Riccardo rientrò dal lavoro e posò il giornale che aveva in mano sulla sedia.

Il fatto che Riccardo posi il giornale sulla sedia, su un tavolino, sul comò o sul cesso è IRRILEVANTE! Perché quella seggiola non ha alcun significato, è solo uno dei tanti mobili della casa, in questo caso un mobilio vale l'altro, non fa alcuna differenza.

Quindi ricapitolando:  QUALITA' dei dettagli, NON quantità