mercoledì 27 luglio 2011

Il non-stile trasparente

Dapprima avevo pensato di postare questo commento sul blog di Gamberetta, Gamberi Fantasy, (http://fantasy.gamberi.org/), ma notando anche i toni delle sue risposte, mi sono resa conto che sarebbe stato inutile. Infatti, come lei stessa ha esplicitamente dichiarato, il suo metodo non è in discussione!! Il blog è suo e fa un po’ quello che cavolo vuole. D’accordo, ma quando si presume di aver adottato il modo “giusto” per recensire i romanzi di narrativa fantastica, bisognerebbe anche essere disposti ad accettare le critiche a quella tecnica di scrittura ritenuta così “giusta”, anche perché la domanda nasce spontanea: siamo sicuri che lo sia? Siamo sicuri che si debba scrivere così? O si può anche scrivere così?

La suddetta tecnica si riferisce allo stile trasparente da lei osannato e innalzato a Vangelo (se non sapete di che parlo, leggete qui i suoi principi: http://fantasy.gamberi.org/2008/05/31/riassunto-delle-puntate-precedenti/ ). Ora finché Gamberetta dice: “io voglio scrivere così perché questa è la tecnica che preferisco”, niente da dire (e infatti i suoi gusti rispecchiano il suo pensiero, come si evince dai suoi libri preferiti, che sono appunto scritti in modo trasparente); ma quando nelle sue recensioni fa affermazioni come: “non è così che si scrive, cribbio!”, questo non è più un parere soggettivo, ma implicitamente ammette che ci sia un modo, un metodo, obiettivamente corretto per scrivere (sottinteso: narrativa di genere fantastico). Secondo me dovrebbe limitare la sua presunzione e rendersi disponibile a mettere in discussione alcuni assiomi, ma siccome non vuole farlo e se ne frega di pareri diversi dal suo convinta che “si scrive così e basta!” , inutile discutere con lei, dato che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Perciò io ne discuto qui speranzosa che un giorno qualcuno contribuisca a rendere la discussione un po’ meno sterile di quello che è adesso.

Io sono sinceramente interessata a tale argomento in qualità di aspirante scrittrice. Quando lessi per la prima volta l’articolo succitato ne rimasi estasiata, fui tentata anch’io di elevarlo a Vangelo (complici anche gli esempi da lei riportati in svariati articoli, in cui si mostrava in modo efficace che lo stile da lei decantato era obiettivamente migliore), ma mi resi conto che la realtà era diversa. Quelli erano brevi frammenti, esempi di frasi, quando entra in gioco l’intero testo ci sono altre variabili da tener presenti.

Tralasciando l’importanza del contenuto, che lei spesso sottovaluta, e limitandoci alla mera tecnica, vi sono comunque degli ostacoli oggettivi alla scrittura trasparente.

Innanzitutto vi è l’ impossibilità di riprodurre la realtà in modo assolutamente oggettivo; la visione della realtà è sempre interpretazione: noi vediamo ciò che vogliamo vedere, influenzati anche dalla nostra cultura, dai nostri valori/pregiudizi/ atteggiamenti/preconcetti, nonché dalla nostra personalità. Infatti noi non “vediamo” la realtà, ma la guardiamo, il che implica un processo non automatico, ma attivo e intenzionale e quindi soggettivo.

Il secondo punto a sfavore è l’ambiguità. E’ facile creare situazioni incomprensibili, ambigue o poco chiare; questo succede quasi sempre nella realtà quando vi è un non-detto, una frase allusiva o ambigua, ma nei rapporti quotidiani reali abbiamo la possibilità di chiedere chiarimenti, nel libro no. L’informazione è a senso unico e questo è un aspetto imprescindibile da non sottovalutare. Io ho letto il tanto amato – da Gamberetta – Swanwick e ho trovato incomprensibile più di un passo. Temendo di essere scema io, ho fatto leggere a più persone i tali pezzi incriminati e ne ho avuto lo stesso responso: punti interrogativi che si levavano visibilmente dalle loro teste [ci tengo a precisare che io ho cercato di influenzare il meno possibile i miei interlocutori, non iniziando allusivamente il discorso con frasi tipo: “ma tu ci capisci qualcosa?”, ma con un neutrale “leggi un po’ questo” e solo dopo la fine della lettura ho aggiunto “cosa ne pensi?”, tant’è vero che mia madre pensava (anzi “temeva”) l’avessi scritto io]. Allo stesso modo, trovo assai arduo riuscire a descrivere perfettamente un’immagine o una situazione come se la si stesse vedendo; prendiamo per esempio un dialogo, nell’esposizione orale sono presenti: tono della voce, espressioni facciali, parole interrotte o mal pronunciate, mugoli, accento, pause, postura, prossemica, mimica,... (e mi sono limitata all’aspetto visivo, togliendo l’aspetto uditivo e il contatto fisico) Per quanto uno sia in grado di descrivere l’immagine in modo perfetto, ciascun lettore si creerà comunque la sua rappresentazione di quell’immagine che coinciderà solo in parte con quella dello scrittore (esperimento facile per dimostrare ciò: e qui si tratta di semplici fig.geometriche, la realtà è più complessa, per non parlare del fantasy, in cui siamo di fronte a situazioni immaginarie e quindi non possiamo nemmeno rifarci all’esperienza per comprenderle). Ponendo anche che sia possibile essere talmente bravi da riuscire a mostrare perfettamente una situazione/immagine fantastica senza spendere nemmeno una parola in spiegazioni, proprio come fosse un film (cosa di cui dubito fortemente), rischiamo di ridurre la narrazione a videoregistrazione, che appunto non è un miglioramento, ma una limitazione delle potenzialità della scrittura: il romanzo ci permette di fare delle cose che il cinema non può fare. Così come un libro non produrrà mai efficacemente delle immagini come può fare una telecamera, così un film non riuscirà a riprodurre il fluire di pensieri (o qualsiasi emozione non visibile) come può fare la parola scritta. Sono due cose diverse.

E poi un’altra pecca, a mio avviso la maggiore: la freddezza di un brano esposto in tale maniera. Portando il principio della trasparenza all’estremo, narrare si tradurrebbe in un mero susseguirsi di immagini. Ma non mi pare che questa sia la tecnica auspicabile. Dubito che il lettore troverebbe interessante una storia scritta così.

Ma per non sputare nel piatto dove ho mangiato per lungo tempo, ammetto che di certi principi di Gamberi Fantasy ho fatto tesoro, anche se io mi sono assestata su una posizione più moderata riguardo allo stile trasparente. Esporrò il mio modus operandi nel prossimo articolo.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

In realtà hai frainteso totalmente il senso della Trasparenza Stilistica, complice anche il fatto che Gamberetta l'ha spiegata male.

La Trasparenza è la base teorica della Narrativa di Genere e si tratta di un metodo, derivato dalla Retorica di certi oratori e poi provato da recenti ricerche neuroscientifiche, atto a porre l'attenzione sul contenuto anziché sullo stile. Questo perché la Narrativa è una forma di Retorica che cerca di persuadere il lettore creando un'esperienza simile alla realtà virtuale o ai sogni lucidi, quindi un'immersione multisensoriale in grado di stimolare maggiormente certe aree del cervello.
Per ulteriori approfondimenti, ti rimando qui: http://www.agenziaduca.it/quale-narrativa/ e qui: http://www.agenziaduca.it/principi-della-narrativa/

Anonimo ha detto...

Ciò detto, la Trasparenza deriva anche e soprattutto da un profondo filtraggio del POV (o penetrazione psicologica), cosa che porta a soggettivare l'oggettività anche in terza persona. In pratica tutto ciò che viene descritto viene filtrato attraverso la mente del personaggio-pov. E no, non intendo solo i classici "espliciti" (tra virgolette o in corsivo, in prima persona e al presente), ma parlo di quelli "impliciti". Intendo proprio una profonda soggettivazione dell'oggettività, anche in terza persona (de facto, la terza persona limitata deve essere IDENTICA a una prima persona, solo portata in terza). E così Mr. McRiben diventa "il porco della casa accanto" anche in terza persona e anche durante le descrizioni (che ormai sono totalmente fuse coi pensieri). E così un italiano molto sporco e che ha mangiato cibo scaduto diventa, con Calderoli personaggio-pov, il "negro ubriacone che vomita ai lati della strada e toglie il lavoro agli italiani". Sarà vero? Sarà falso? Non importa, questo è quello che crede il personaggio-pov e quindi dovrà essere anche ciò che crede il lettore. In fondo in ognuno di noi c'è un piccolo Calderoli. LOL Ah, notare i termini: Calderoli descriverebbe il suddetto uomo come "negro", mentre Vendola come "nero" e magari Ferrero come "povero immigrato sfruttato dal Sistema". E questo non necessariamente in pensieri al presente, in prima persona e virgolettati (o in corsivo), che andrebbero usati solo per determinati pensieri (generalmente quelli che suonerebbero naturali e brillanti se venissero inseriti in un dialogo).
Ciò porta a varie conseguenze, tra cui:
1. Maggiore immedesimazione col personaggio, che è il maggiore vantaggio della narrativa sul cinema;

Anonimo ha detto...


2. "Show, don't tell": se tutto è filtrato dalla mente e dai sensi del personaggio, siamo costretti a descrivere ciò che effettivamente il personaggio prova, sente, vede, annusa e gusta. concretamente e mai astrattamente, dinamicamente e mai staticamente la realtà non è fatta di fotogrammi immobili, quindi al verbo essere vanno preferiti verbi più dinamici), in modo preciso e mai approssimativo (non dirmi ciò che sembra, dimmi ciò che è per te). Attimo per attimo, momento per momento, perché il personaggio non avrà mai esperienza concreta dei riassunti ("tell"). Martin scrive troppo raccontando, e quando mostra spesso non lo fa bene. Inoltre, bisogna ricordare che non va mostrato assolutamente tutto, ma solo le cose importanti per la trama, per la descrizione degli ambienti (non OGNI cosa) e per l'identificazione dei personaggi. Ciò che non ha senso mostrare, va direttamente tagliato. Bisogna anche notare che il personaggio-pov neppure noterà ciò che conosce bene, quindi non ha senso descrivere lo stendardo degli Stark che Robb vede fin dalla più tenera età, a meno di non metterlo in una luce diversa (un colpo di vento lo fa cadere a terra?). Ah, e non scordiamoci di evitare come la peste gli aggettivi astratti e gli avverbi pleonastici. E vogliamo parlare dei dialogue tag? Devono mostrare le azioni che il personaggio che parla sta facendo, quindi sono aboliti i puntini di sospensione, ma anche termini come "rispose", "chiese", "arzigogolò", "ripeté", "urlò" e "sospirò" (il tono si deve capire dal contesto). "Disse" va bene in extremis, quando proprio non si sa che azione far fare al personaggio, tanto è un termine trasparente in quanto convenzionale. Ciò non toglie che la cosa migliore è mostrare l'azione del personaggio che parla, cosa che rimarca le parole, fa capire lo stato d'animo, fa capire chi parla, mostra le pause ed evita strafalcioni di consecutio temporum (il classico "disse ridendo": no, prima ridi e poi parli, non insieme). Qualche esempio? Giulio si passò una mano tra i capelli. "Mi cogli di sorpresa", cosa da fare anche con le pause espresse normalmente con i puntini di sospensione ("Mi cogli di sorpresa... certe cose non si addicono a una nobil donna" = "Mi cogli di sorpresa", Giulio si passò una mano tra i capelli. "Certe cose non si addicono a una nobil donna"). Un'ultima cosa: lo scorrere del tempo va mostrato, non raccontato. Scrivere "poi", "dopo" et similia è spreco di inchiostro: sono termini superflui in quanto il tempo del "poi" è già passato mentre il lettore legge. Lo stesso vale per "all'improvviso", che in realtà anticipa e quindi rende l'avvenimento molto meno improvviso. Fallo accadere e basta, cazzo!

Anonimo ha detto...

3. "Sommersione dell'Io": si sorpassa la barriera dei sensi, che spostano la telecamera dalla testa del personaggio alla sua spalla. Non si dirà più "Giulio udì degli uccellini cantare", ma si descriverà direttamente ciò che Giulio sente (quindi il canto degli uccellini). Insomma, i verbi sensoriali vanno evitati il più possibile. Questo Martin non lo fa quasi mai, se non per pura casualità;

4. Limitazione: possiamo descrivere solo ed esclusivamente ciò che Giulio percepisce attraverso i suoi sensi e pensa, nulla di più e nulla di meno. Non possiamo entrare nella testa degli altri personaggi, se non tramite supposizione del personaggio-pov (che possono anche essere certezze, se crede che siano tali per un motivo o per un altro) e non possiamo descrivere avvenimenti a cui non ha preso parte o assistito. Ciò renderebbe ovvio l'uso, se non della prima persona, perlomeno della terza persona al presente. ma il passato va bene anche perché ormai è una convenzione stilistica e quindi il lettore non la percepisce. Per onor di cronaca, lo stesso vale per la ripetizione del nome del personaggio che compie azioni in sequenza e anche per quello del personaggio-pov: la mente umana legge solo la prima volta il nome del soggetto, poi non fa differenza tra Mario, lui, questi o un soggetto sottintenso.
5. Maggiore trasparenza stilistica e quindi maggiore immersione nella "realtà virtuale";
6. Possibilità di giocare con la mente del lettore attraverso personaggi-pov inattendibili (pazzi, drogati, con personalità multiple, con allucinazioni... ) oppure attraverso la moralità. In narrativa la moralità consiste nel convincere il lettore a desiderare una cosa negativa (nel contesto del romanzo) e farla credere positiva, per poi sbattergli in faccia la conseguenze. Se tutto è filtrato attraverso il personaggio-pov, allora se lui si convincerà che una determinata cosa sia giusta anche il lettore se ne convincerà. In fondo la Narrativa non è altro che una forma moderna di Retorica, in fondo trae esperienza dagli oratori greci e latini. Lo scopo della Narrativa è da un lato quello di immergere il lettore in una Realtà Virtuale, dall'altro quello di persuadere il lettore riguardo a una determinata tematica (tesi e premise). Immaginate Edipo come personaggio-pov, oppure Hitler;
7. Non detto. Ciò che il personaggio non dice o non descrive, ciò per cui non esprime un'opinione, è importante tanto quanto ciò che dice. Se un personaggio non ha un'opinione su qualcosa, questo ne descrive il carattere.
Infine, la Trasparenza Stilistica richiede uno stile il più possibile semplice, scorrevole e diretto.
Inoltre, ripeto che si tratta di norme non solo di buon senso (se si aderisce agli scopi della Narrativa), ma anche provare a livello neuroscientifico.


Per quanto riguarda Swanwick, Gamberetta stessa dice che scrive male, ma è lodevole per originalità e fantasia.

Anonimo ha detto...

Mi scuso per la lunghezza, ma certe cose così complesse sono difficili da sintetizzare efficacemente. xD E mi scuso anche per i riferimenti a Martin: ho copiato dei miei commenti a una discussione sui suoi libri e ho scordato di "purificarli". I'm sorry. ^_^