venerdì 25 novembre 2011

Libro vs E-book



Annosa questione. Chi dei due vincerà? L’e-book riuscirà a spuntarla?

C’è chi ha già visto la fine di un’era, con la morte di tutte le librerie, c’è chi, come Eco, è fiducioso del fatto che il libro sia perfetto così com’è e perciò inestinguibile.

Mah!

Io non lo so, difficile prevedere, ci sono molti fattori in gioco. Anche perché, a prescindere dai reali pregi e difetti, esiste sempre una questione di moda, dipende da quanto le aziende interessate spingono verso una o l’altra direzione.

Basta pensare alla pubblicità dei tablet apple che sembrano chissà cosa, quando non sono altro che un’evoluzione dei palmari che invece non se li è cagati nessuno.

Fare previsioni è dunque difficile, perciò mi limiterò a esporre una serie di fatti, pro e contro di entrambi. Mi limiterò al lato pratico, tralasciando aspetti sentimentali quali l’odore della carta, il piacere di sfogliare, etc... Perché questi sono aspetti che valgono solo per appassionati, i ragazzini che sono cresciuti a pane e computer sono meno sensibili a questi particolari (forse saranno più affascinati dallo sfrigolio dei bit o dal ronzio del PC).

Ovviamente l’e-book vince in quanto a economia di spazio e comodità di trasporto: moltissimi libri sempre a portata di mano in pochi centimetri quadrati, peso leggero, sta nella borsetta; se finisci il libro oppure ti annoia, ne inizi un altro.

In quanto a praticità invece... Nessuno fa mai notare una cosa: ma, dico, nessuno di voi ha mai letto in spiaggia? Tutti quei fautori della morte del libro hanno mai notato questo piccolo particolare che è impossibile portare un e-reader al mare? Il salino e la sabbia lo distruggerebbero, per non parlare del rischio furto. Vuoi mettere il libro? In bella mostra sull’asciugamano, e tranquillo che non te lo ruba nessuno. Se il libro cade in terra, non si rompe. Per non parlare dei libri illustrati per bambini: pensate che sia davvero possibile sostituirli con l’e-reader? Quanto pensate che duri in mano a un bambino? Insomma in quanto a robustezza stravince il libro. E sempre a proposito di libri-gioco per bambini, le figure in rilievo non sono assolutamente riproducibili in digitale.

C’è un altro punto a favore della praticità del libro: la possibilità di evidenziare, scriverci sopra a penna o matita, applicare post-it alle pagine.

Vi è poi quella che io chiamo “visione d’insieme”, ovvero dare un’occhiata al testo nel suo complesso, zompando dall’inizio alla fine velocemente, confrontare più pagine o più libri contemporaneamente.

Qui però l’e-reader estrae il suo asso nella manica: la ricerca di parole all’interno del testo; questo è davvero un jolly che compensa abilmente la visione d’insieme.

Il libro però non s’inceppa, come invece è successo proprio ieri al mio e-reader che ho dovuto poi formattare; pensa che divertimento se ci avessi messo dei miei appunti personali non riprodotti da nessun’altra parte!

In sintesi sembra quasi che il libro la stia spuntando, ma...

Con una sola mossa l’e-book può fare scacco: il costo!

I libri tanto carini e romantici finché vuoi, ma quando si deve mettere mano al portafoglio, il Dio Denaro vince sempre. E da questo punto di vista l’e-book lo straccia, non solo perché costa meno ma perché, si sa, digitale fa rima con gratis.

E questo è il punto dolente, perché apre tutta un’altra questione. Quello che finora era un match tra diversi supporti(e poteva avere la stessa rilevanza della sfida dischi/cassette ovvero non è che cambia un granché: invece che comprare dischi, comprerò le cassette, amen), diventa una questione socio-culturale; si entra in un circuito che può essere disastroso. E per questo necessita di un altro articolo a sé stante.




Concludendo questo piccolo match, io auspico a un pareggio, una pacifica convivenza; non vedo perché l’uno dovrebbe soppiantare l’altro: hanno entrambi pregi e difetti, in certi contesti è più conveniente un supporto piuttosto che l’altro, perciò il mondo ideale mi sembra quello in cui coesistono entrambi.


sabato 19 novembre 2011

Cosa sto facendo?

Magari non ve ne frega niente, ma io ve lo dico lo stesso. ;)

Allora dopo aver completato il mio paranormal romance, credete che me ne stia con le mani in mano?

No, tutt’altro.

Oltre ad aver inviato il manoscritto alle case editrici, ho contribuito allo scempio della letteratura contemporanea scrivendo altri romanzi.




Tsk! Grazie della fiducia.

No, non sto scrivendo un altro capitolo della saga in 15 volumi, né un altro libro su vampiri, licantropi e affini, e se aveste letto il mio sito lo sapreste.

Angels romance è un’opera senza alcuna pretesa, scritta più che altro per esercitazione. I libri a cui tengo sono altri.

Innanzitutto c’è il romanzo di narrativa che sto ultimando adesso, ma di cui non dirò nulla perché ho intenzione di inviarlo al concorso La Giara. Peraltro è poco rilevante per questo blog perché non è fantasy, ma solo leggermente soprannaturale.

Io però sto fremendo perché non vedo l’ora di dedicarmi anima e corpo ad altri due progetti che ho in testa e non vedo l’ora di realizzare. Sono La moglie dello stregone e l’opera provvisoriamente intitolata Chicago gangster (ehm, questo è un titolo abbastanza idiota, lo so, ma diciamo che azzeccare i titoli non è precisamente un mio talento... E cmq quello che conta è la sostanza).

Per ulteriori informazioni riguardo a questi due futuri capisaldi del fantasy...pastedGraphic_1.pdf


Umpf, dicevo, per ulteriori informazioni, rimando alle rispettive pagine del mio sito.


lunedì 14 novembre 2011

Angels Romance download

Da oggi disponibile il download del mio ultimo romanzo. Angels romance: la redenzione di un vampiro.
Qui la presentazione del libro.

domenica 13 novembre 2011

Urban fantasy = Horror

Purtroppo è un’equazione che ho riscontrato un po’ troppo spesso nel panorama fantasy italiano (ma mi pare che anche all’estero ci sia la stessa tendenza). Voglio dire, se togliamo i romanzi alla Meyer e gli autori stile Troisi (leggi: alla cazzo di cane) e ci spostiamo verso gli scrittori più talentuosi del panorama fantastico italiano (penso ad esempio a Tarenzi e Dimitri) ecco che l’equazione di cui sopra, ovvero urban fantasy = horror, diventa la norma.

Non mi piace questa tendenza, anche perché rappresenta un limite del genere. A me l’urban fantasy piace tantissimo, ma sinceramente di squartamenti & affini ne faccio volentieri a meno. Io non disdegno l’horror per partito preso, anch’io ogni tanto ne ho letto e apprezzato alcuni, però insomma se leggo un urban fantasy mi piacerebbe sprofondare in un mondo fantastico, trovarmi immersa nella magia, evadere in un luogo incantato, piacevole ed entusiasmante, non angosciante e terrificante. Gente torturata, bruciata viva, sacrifici umani e animali, crudeltà di vario genere, cinismo a gogò, razzismo, sessismo e xenofobia imperante.

E basta!

Bastaaaa!

Il mondo è già tanto brutto di suo, almeno nella fantasia lasciatemi quietare. Per ritrovarmi catapultata in un mondo del genere, tanto vale me ne sto a casa.

Va bene la verosimiglianza, ma non è che per forza si deve ricreare un mondo così socialmente identico al nostro per renderlo verosimile; sta anche qui l’abilità, la sfida: creare una realtà sociale diversa dalla nostra ma allo stesso tempo credibile.

Forse che lo scopo sia mettere in luce le atrocità della nostra società? Va bene, ma lo si può fare anche proponendo un modello positivo, un’alternativa; anzi, il fantasy è l’unico genere che lo permette, perché se voglio scrivere una storia di protesta contro la guerra, l’unico modo è mostrare le atrocità della guerra, ma nel fantasy no, ho un’altra chance: posso creare l’alternativa, posso creare il mondo come potrebbe essere se non ci fossero le malvagità a infestarlo, un mondo più equo e giusto, un mondo con valori diversi dai nostri. Un modello positivo di vita a cui ispirarsi, a cui ambire. E’ l’alternativa sociale del bonobo vs scimpanzé.

Comunque ho tergiversato. Al di là della funzione sociale, educativa, illuminatrice, biblica del romanzo, rimanendo su un versante più terra terra di semplice intrattenimento, ribadisco che insistere troppo sull’aspetto cruento del fantasy per adulti(1), al di là dei gusti personali, è comunque un limite perché è un’interpretazione parziale delle potenzialità di questo genere.



(1)Ovviamente il panorama fantastico per bambini è ben diverso, ma qui non sto parlando di Annetta che passeggiando nel bosco si ritrova in un mondo incantato di fragole e panna. Mi riferisco al fantasy per adulti che implica una certa serietà, coerenza, caratterizzazione dinamica e sfaccettata di personaggi, profondità e complessità dei temi trattati...

mercoledì 9 novembre 2011

Ho scritto il mio primo (e unico) libro e pretendo di essere pubblicato!!




Direi che questa asserzione rispecchia il pensiero della maggior parte degli scribacch... ehm, scrittori emergenti. E’ facile imbattersi in blog che affermano che l’unico modo per un esordiente di pubblicare è a pagamento o per raccomandazione.

In parte è vero, ma analizziamo meglio questo enunciato.

Innanzitutto occorre chiedersi il perché.

Perché volete essere pubblicati?

Volete diventare ricchi (e famosi).

Volete fare gli scrittori di professione (o come seconda professione).


Nel primo caso --> siete degli idioti!!

Ci sono metodi ben più efficaci per tentare la fortuna. Solo una minima parte degli scrittori diventa ricca (e ancor meno al primo colpo), in questo caso è solo una questione di culo: il romanzo può diventare un bestseller per i motivi più disparati (la ragazza sulla copertina assomiglia a Jessica Alba, il libro è di colore fuxia, oppure qualcuno lo ha lanciato in testa a Fabrizio Corona). E allora perché sprecare tempo a scrivere un libro? Ci sono metodi meno impegnativi e più redditizi per tentare la fortuna, come il superenalotto, le lotterie, i gratta&vinci, vi costa anche meno che stampare il manoscritto e le probabilità di vincita sono le stesse.

Inoltre eviterete di intasare le case editrici con la vostra spazzatura.

Mettetevi una mano sulla coscienza!


No, non ci siamo capiti: non dovete comprare il libro di Corona, ma dovete tirarglielo in testa


Nel secondo caso --> siete pazzi... o forse no?

Se avete davvero passione per la scrittura, c’è qualche probabilità in più che abbiate scritto qualcosa di decente e addirittura originale, specialmente se avete prima letto un po’ di manuali di narratologia (sennò vi consiglio di farlo) e se leggete molti libri del vostro genere (cosa che dovrei dare per scontata, visto che siete appassionati, ma non lo è affatto).

Ma la qualità non garantisce affatto la pubblicazione. Le case editrici prediligono soprattutto la commerciabilità di un’opera piuttosto che la sua qualità. Mondadori va sul sicuro: pubblica autori conosciuti/raccomandati o traduzioni di bestseller stranieri.

E allora hanno ragione quelli che sostengono che l’unica strada è a pagamento?

NO! Affatto!

Le case editrici minori non sono buone, ma siccome quelli più famosi e remunerativi se li è già presi tutti la Mondadori, loro per forza di cose dovranno puntare sugli sconosciuti.

Non esistono solo Mondadori & C, ci sono un sacco di altre case minori non a pagamento. E se davvero aveste passione per la scrittura le conoscereste. Conoscereste quelle che pubblicano il vostro genere perché avreste letto i loro libri.

Quindi, se non ne conoscete nessuna, fatevi due domande.




Ora che avete trovato le risposte, rimane comunque il fatto che neppure le piccole puntano con fiducia sulle nuove scommesse alternative, anche loro prediligono il criterio commerciabilità e poi semmai talento.

Ma voi volete diventare dei veri scrittori, giusto?

Allora va da sé che non potete avere in testa un solo (l’unico)libro, ma avrete altre idee (sennò anche in questo caso fatevi delle domande). Quindi, mentre attendete risposta dalle case editrici, scrivete altri libri e, se davvero avete talento, prima o poi verrà fuori; sì perché prima o poi, anche per sbaglio, un libro che è in sintonia con la linea editoriale del momento lo scriverete. Magari non diventerete ricchi, ma avrete buone probabilità di essere pubblicati.

E se nemmeno così funziona, fatevi l’ultima domanda:

Esistono tanti mestieri a questo mondo, non è che devo fare per forza lo scrittore, no?

martedì 8 novembre 2011

Sono indignata!

Esattamente. E’ proprio così che mi sento: sono indignata!!

La settimana scorsa, per mia sfortuna, capitando su questo blog, ho letto una cosa di cui avrei fatto volentieri a meno. Ho scoperto che una demente (di cui non voglio fare il nome perché non intendo farle ulteriore pubblicità) è stata pubblicata da una grossa casa editrice. Questa cosa di per sé non sarebbe così scandalosa, perché la suddetta casa editrice è tristemente famosa per pubblicare manoscritti dementi, soprattutto di autori raccomandati o purtroppamente famosi.

Ma la cosa squallida più di tutte è che la deficiente in questione non aveva neppure scritto un manoscritto di sua iniziativa, ma è stata invitata a farlo da un affermato “talent scout” della Casa Editrice. Ora, passi che pubblichino i raccomandati, non dico bravi, ma almeno alfabetizzati, ma che addirittura pubblichino una semianalfabeta che non era neppure intenzionata a scrivere, mi pare una sonora presa per i fondelli. Con tutti gli autori esordienti che poverini inviano i manoscritti e non vengono neppure letti, ci prendiamo la briga di pubblicare una tale analfabeta ritardata?

Ma davvero?

Ora capisco che molti manoscritti che arrivano alla Casa sono ai livelli di quella cretina, ma non credo che siano tutti così, qualcuno decente ci sarà sicuramente.


mercoledì 19 ottobre 2011

Name Generator

Oggi ho scoperto un sito figo-fighissimo!

http://www.lowchensaustralia.com/names/generators.htm

E’ un generatore di nomi: una vera manna per gli scrittori fantasy. Crea qualsiasi tipo di nome: cinese, fate, streghe, pirati...

Io ne ho provati alcuni:


Il mio nome pagano: Ravynne Star Nightshade

My Drag Queen Name is Charlamaine Courtisan.
Take The Drag Queen Name Generator today!
Created with Rum and Monkey's Name Generator Generator.


Find out your fairy names with The Fairy Name Generator!My fairy name is Briar Rainbowfly
She brings good fortune.
She lives in leafy dells and bluebell glades.
She is only seen at midday under a quiet, cloudless sky.
She wears bluebell-blue dresses and has multicoloured wings like a butterfly.
Find out your fairy names with The Fairy Name Generator!
Get your own witch names from The Witch Name Generator!My witch is the WARTY Mabel Waspsquirter
She squirts toads for fun
and she likes to poke you with knitting needles!
She is covered in warts and carbuncles!
Get your own witch names from The Witch Name Generator!


venerdì 5 agosto 2011

Pensiero profondo n° 2bis: la vera Letteratura è noiosa

Ecco una dicotomia che ho sempre odiato: Letteratura impegnata vs letteratura divertente.
Avevo già accennato questo argomento parlando della critica emozionale, ma oggi vorrei approfondire questo discorso.
Il titolo di questo post è un riferimento non troppo velato a "L'eleganza del riccio"di Muriel Barbery, che stavo leggendo ieri. Ed è la frase seguente che mi ha suscitato queste riflessioni.

Cit: Per molto tempo ho ritenuto una fatalità che la settima arte fosse bella, potente e soporifera e che il cinema di intrattenimento fosse frivolo, piacevole e sconvolgente.

Perché si continua a sostenere che i romanzi piacevoli/divertenti devono essere per forza superficiali? E di riflesso le letture impegnate devono essere per forza narrate con una prosa ricercata e noiosa?

Ma chi l'ha detto?

La profondità nei temi trattati non deve accompagnarsi per forza a noia narrativa. Il contenuto deve essere "pesante", non lo stile. Un messaggio infatti è meglio veicolato se viene trasmesso in modo accattivante. Se mi annoio a pag.5 dubito che potrò trovare interessante le riflessioni di pag.50, visto che probabilmente chiuderò il libro prima.

E' ben radicato il preconcetto che se si vuole affrontare una lettura impegnativa bisogna essere disposti a farsi frantumare i maroni pagina dopo pagina.
Chissà perché poi la gente legge così poco?
E chissà perché i giovani non sono interessati alla narrativa? o_O
Già, un vero mistero che i giovani non siano disposti ad annoiarsi per centinaia di pagine. Gioventù bruciata!!

Io invece sostengo che tanto più il contenuto è impegnativo, tanto meno lo deve essere la prosa. Ciò non significa ovviamente scrivere con superficialità, ma scrivere in modo fresco, scorrevole, accattivante, e anche semplice; sì perchè se voglio che il mio messaggio/la mia storia raggiunga più persone possibili, devo fare in modo che risulti comprensibile alla maggior parte del pubblico (perciò è assolutamente controproducente adoperare termini in disuso dal 1708).

Nel cinema l'archetipo di questa mia posizione è ben sintetizzato ne "La vita è bella" di Benigni, dimostrazione di come un film riesca ad essere piacevolmente tragico. Uno degli argomenti più drammatici della nostra storia - l'olocausto - trasposto in modo non solo divertente, ma addirittura comico. Senza per altro mai sminuire l'importanza e la gravità del tema; anzi, la ridicolizzazione di alcuni comportamenti ne amplifica la tragicità.

martedì 2 agosto 2011

Nell'ultimo post affermavo di voler mettere in chiaro quali sono i fondamenti della mia scrittura, ovvero su quali assunti mi baso quando scrivo. Prima una piccola postilla: quest'articolo non vuole essere un sunto di tecnica di scrittura, ma la divulgazione del metodo da me adottato, quindi per chi volesse approfondimenti sulle tecniche, consiglio di consultare manuali di scrittura; comunque alcune nozioni fondamentali sui principi da me menzionati sono facilmente reperibili anche in internet.

Ecco i punti:
evitare il superfluo, narrare solo l'essenziale, senza sbrodolarsi in inutili interventi dell'autore, descrizioni prolisse, problemi filosofici, etc. Si deve narrare solo ciò che è funzionale alla storia, il resto non interessa.

evitare l'infodump (inforigurgito) questo aspetto si ricollega al prossimo punto, il mostrare e non raccontare, sì perché per evitare di "vomitare" addosso al lettore una quantità spasmodica, nonché noiosa, di informazioni, è preferibile mostrare la scena in cui si evince l'informazione oppure gettare qualche informazione qua e là, cammuffata da dialogo, ma anche qui bisogna essere in grado di cammuffarla bene sennò si cade nel "as you know, Bob" (se Bob lo sa già che cavolo glielo dici a fare?); lo scopo di queste tattiche è quello di evitare la fastidiodosa e noiosa narrazione stile enciclopedia: "gli elfi erano una specie immortale, vivevano nella Terra d'Egitto dal lontano 6000 a.C., etc."

show don't tell con le pinze. Come dicevo, è più effficace mostrare una scena che non raccontarla... Quasi sempre. E qui mi distacco dagli accaniti sostenitori di questo principio. Perchè se da una parte è vero che è più efficace, dall'altra è il metodo più rischioso. Consigliare a un principiante di usare show don't tell a gogò è controproducente, specialmente nel fantasy in cui molte situazioni/ambienti sono sconosciuti il rischio di incomprensione/confusione/smarrimento del lettore è troppo alto. Non significa raccontare tutto come ai bambini delle elementari, ma usare questa tecnica con parsimonia, anzi, con un gusto dosaggio: né troppa, né poca. Mostrare sì, ma aggiungendo una piccola spiegazione, anche solo una frasetta di delucidazione su situazioni ambigue o troppo oscure perché distanti dalla nostra concezione socioculturale. Più la situazione è weird, più occorre un minimo di contestualizzazione.

verosimiglianza tipico problema del fantasy: anche se si narrano storie fantastiche, non significa che si debbano scrivere cazzate a bosco. Il sistema magico/fantastico deve essere ben congeniato, deve rispondere a regole precise e deve essere coerente con tali regole. Allo stesso modo se il mondo fantasy non risponde alle regole fisiche terrestri, devono essere coerenti le implicazioni conseguenti a tale sistema.
Così come vanno evitate le incongruenze e le "trovate" stupide (grandi strateghi che si comportano come dei poveri mentecatti per esigenze di trama, geni del male che si trastullano invece di agire con spietatezza, ...).

onestà: è un elemento trasversale, va dai dialoghi dei personaggi (che non devono parlare come libri stampati) ai tabù; questo è un pregiudizio tipico del fantasy: gli autori si autocensurano perché lo ritengono un genere pe "ragazzi". Stupidaggini. Se è nella natura di un personaggio dire parolacce le deve dire, se i due protagonisti devono far sesso che lo facciano.

profonda caratterizzazione dei personaggi : i personaggi non devono parlare tutti con la stessa voce, né avere lo stesso carattere; per questo dedico molto tempo alla loro caratterizzazione: dai modi di dire, alle gestualità, al loro modo di pensare e comportarsi, le loro abitudini, i vizi e i gusti.

mercoledì 27 luglio 2011

Il non-stile trasparente

Dapprima avevo pensato di postare questo commento sul blog di Gamberetta, Gamberi Fantasy, (http://fantasy.gamberi.org/), ma notando anche i toni delle sue risposte, mi sono resa conto che sarebbe stato inutile. Infatti, come lei stessa ha esplicitamente dichiarato, il suo metodo non è in discussione!! Il blog è suo e fa un po’ quello che cavolo vuole. D’accordo, ma quando si presume di aver adottato il modo “giusto” per recensire i romanzi di narrativa fantastica, bisognerebbe anche essere disposti ad accettare le critiche a quella tecnica di scrittura ritenuta così “giusta”, anche perché la domanda nasce spontanea: siamo sicuri che lo sia? Siamo sicuri che si debba scrivere così? O si può anche scrivere così?

La suddetta tecnica si riferisce allo stile trasparente da lei osannato e innalzato a Vangelo (se non sapete di che parlo, leggete qui i suoi principi: http://fantasy.gamberi.org/2008/05/31/riassunto-delle-puntate-precedenti/ ). Ora finché Gamberetta dice: “io voglio scrivere così perché questa è la tecnica che preferisco”, niente da dire (e infatti i suoi gusti rispecchiano il suo pensiero, come si evince dai suoi libri preferiti, che sono appunto scritti in modo trasparente); ma quando nelle sue recensioni fa affermazioni come: “non è così che si scrive, cribbio!”, questo non è più un parere soggettivo, ma implicitamente ammette che ci sia un modo, un metodo, obiettivamente corretto per scrivere (sottinteso: narrativa di genere fantastico). Secondo me dovrebbe limitare la sua presunzione e rendersi disponibile a mettere in discussione alcuni assiomi, ma siccome non vuole farlo e se ne frega di pareri diversi dal suo convinta che “si scrive così e basta!” , inutile discutere con lei, dato che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Perciò io ne discuto qui speranzosa che un giorno qualcuno contribuisca a rendere la discussione un po’ meno sterile di quello che è adesso.

Io sono sinceramente interessata a tale argomento in qualità di aspirante scrittrice. Quando lessi per la prima volta l’articolo succitato ne rimasi estasiata, fui tentata anch’io di elevarlo a Vangelo (complici anche gli esempi da lei riportati in svariati articoli, in cui si mostrava in modo efficace che lo stile da lei decantato era obiettivamente migliore), ma mi resi conto che la realtà era diversa. Quelli erano brevi frammenti, esempi di frasi, quando entra in gioco l’intero testo ci sono altre variabili da tener presenti.

Tralasciando l’importanza del contenuto, che lei spesso sottovaluta, e limitandoci alla mera tecnica, vi sono comunque degli ostacoli oggettivi alla scrittura trasparente.

Innanzitutto vi è l’ impossibilità di riprodurre la realtà in modo assolutamente oggettivo; la visione della realtà è sempre interpretazione: noi vediamo ciò che vogliamo vedere, influenzati anche dalla nostra cultura, dai nostri valori/pregiudizi/ atteggiamenti/preconcetti, nonché dalla nostra personalità. Infatti noi non “vediamo” la realtà, ma la guardiamo, il che implica un processo non automatico, ma attivo e intenzionale e quindi soggettivo.

Il secondo punto a sfavore è l’ambiguità. E’ facile creare situazioni incomprensibili, ambigue o poco chiare; questo succede quasi sempre nella realtà quando vi è un non-detto, una frase allusiva o ambigua, ma nei rapporti quotidiani reali abbiamo la possibilità di chiedere chiarimenti, nel libro no. L’informazione è a senso unico e questo è un aspetto imprescindibile da non sottovalutare. Io ho letto il tanto amato – da Gamberetta – Swanwick e ho trovato incomprensibile più di un passo. Temendo di essere scema io, ho fatto leggere a più persone i tali pezzi incriminati e ne ho avuto lo stesso responso: punti interrogativi che si levavano visibilmente dalle loro teste [ci tengo a precisare che io ho cercato di influenzare il meno possibile i miei interlocutori, non iniziando allusivamente il discorso con frasi tipo: “ma tu ci capisci qualcosa?”, ma con un neutrale “leggi un po’ questo” e solo dopo la fine della lettura ho aggiunto “cosa ne pensi?”, tant’è vero che mia madre pensava (anzi “temeva”) l’avessi scritto io]. Allo stesso modo, trovo assai arduo riuscire a descrivere perfettamente un’immagine o una situazione come se la si stesse vedendo; prendiamo per esempio un dialogo, nell’esposizione orale sono presenti: tono della voce, espressioni facciali, parole interrotte o mal pronunciate, mugoli, accento, pause, postura, prossemica, mimica,... (e mi sono limitata all’aspetto visivo, togliendo l’aspetto uditivo e il contatto fisico) Per quanto uno sia in grado di descrivere l’immagine in modo perfetto, ciascun lettore si creerà comunque la sua rappresentazione di quell’immagine che coinciderà solo in parte con quella dello scrittore (esperimento facile per dimostrare ciò: e qui si tratta di semplici fig.geometriche, la realtà è più complessa, per non parlare del fantasy, in cui siamo di fronte a situazioni immaginarie e quindi non possiamo nemmeno rifarci all’esperienza per comprenderle). Ponendo anche che sia possibile essere talmente bravi da riuscire a mostrare perfettamente una situazione/immagine fantastica senza spendere nemmeno una parola in spiegazioni, proprio come fosse un film (cosa di cui dubito fortemente), rischiamo di ridurre la narrazione a videoregistrazione, che appunto non è un miglioramento, ma una limitazione delle potenzialità della scrittura: il romanzo ci permette di fare delle cose che il cinema non può fare. Così come un libro non produrrà mai efficacemente delle immagini come può fare una telecamera, così un film non riuscirà a riprodurre il fluire di pensieri (o qualsiasi emozione non visibile) come può fare la parola scritta. Sono due cose diverse.

E poi un’altra pecca, a mio avviso la maggiore: la freddezza di un brano esposto in tale maniera. Portando il principio della trasparenza all’estremo, narrare si tradurrebbe in un mero susseguirsi di immagini. Ma non mi pare che questa sia la tecnica auspicabile. Dubito che il lettore troverebbe interessante una storia scritta così.

Ma per non sputare nel piatto dove ho mangiato per lungo tempo, ammetto che di certi principi di Gamberi Fantasy ho fatto tesoro, anche se io mi sono assestata su una posizione più moderata riguardo allo stile trasparente. Esporrò il mio modus operandi nel prossimo articolo.

lunedì 18 luglio 2011

Chiara vs Giulia

Alcune elucubrazioni che vorrei fare senza alcuno scopo scientifico, ma solo per esternare il mio pensiero, un po’ come se stessi pensando ad alta voce.

Ieri sono incappata in un sito (http://salvalibri.splinder.com/ di Giulia Bonino) il cui scopo è ridicolizzare lo stile recensorio di Chiara Gamberetta (Gamberi Fantasy). Premetto che io sono una persona poco rigida perciò mi piace mettere/mi in discussione, perciò chiunque si prefigga lo scopo di smontare dogmi/assiomi per me è ben accetto. Sempre che tale pratica sia supportata da spiegazioni e valide argomentazioni, sennò non ha alcun valore; al contrario, infatti, non trovo affatto divertente/stimolante sparare a zero su chiunque, solo per il gusto di demolirlo. La critica negativa in sé per me non ha alcun fascino; lo assume solo quando diventa costruttiva, aiutandomi cioè a espandere il pensiero, a trovare nuove spiegazioni , interpretazioni, visioni del mondo, conoscenze. È per questo che ho amato Gamberetta perché è la prima persona che ho trovato che ha saputo andare contro i dictat delle grande case editrici, riuscendo a far emergere alcuni grossi buchi/difetti di libri pubblicati, ma soprattutto supportando tutto ciò con alcune premesse circa gli assiomi che lei adotta nella recensione, cioè su quali parametri si basa (ciò non implica che questi siano corretti e giusti in senso assoluto, ma almeno si sa su cosa ella si basa per recensire). Ma, come premesso, sono una persona elastica, ed è per lo stesso motivo che ho adorato anche Giulia che a sua volta contesta Gamberetta. Mi piace questa contrapposizione perché finalmente vengono alla luce due modi diversi di intendere la critica letteraria. Purtroppo però Giulia non ci dice quali sono i suoi criteri, ma si limita a demonizzare quelli gamberettiani. Un vero peccato, però, un’occasione sprecata. Ne capisco l’intento (come l’autrice spiega, il suo scopo è quello di ridicolizzare il metodo di Gamberetta facendolo proprio, un po’ come se mettesse in atto una specie di parodia), ma così non emergono i cardini della sua critica, del suo “saper fare” critica (in quanto afferma di essere una professionista del settore), la cosa a cui io invece anelo. Gamberetta può essere criticata perché esplicita i suoi criteri-guida, perciò si può dire:”i suoi criteri sono scemi/sbagliati/parziali...” e da soli siamo in grado di renderci conto se lei li sta rispettando oppure no. In alcune sue recensioni , infatti, e qui sono d’accordo con Giulia che lo fa notare, Gamberetta fa alcune osservazioni alquanto discutibili, in quanto dettate più che altro dal suo gusto personale che non da criteri obiettivi.


Swanwick riesce a parlare di città ciclopiche e mela-folletti, di macchine apocalittiche che farebbero la felicità dei Krell e ragazze-capra, di sottoufficiali centauri che giocano alla roulette russa con i bambini e di nani in fuga dall’equivalente sotterraneo della gestapo[....]

tuttavia la tensione viene ripagata dal divertimento!


Che il mondo cinico e crudele di Sw. sia divertente è tutto da dimostrare...

Oppure:


I dialoghi sono atroci. La Meyer riporta parola per parola le minuzie che si scambiano i personaggi, senza rendersi conto di costruire spesso lunghi dialoghi di sole minuzie


Dov'è l'errore? A lei i dialoghi non sono piaciuti perché sono piatti, ma come affermerà poi nell'articolo sui dialoghi è presente una certa diatriba tra gli scrittori, tra chi preferisce dialoghi brillanti ma meno verosimili o viceversa. E' una scelta di stile, non per questo un errore. Tant'è vero che Gamberetta ammette di preferire i dialoghi brillanti anche se meno verosimili; la Meyer evidentemente opta per l'opposto, può risultare noiosa, può risultare banale, ma non ha sbagliato (forse che nella vita di tutti i giorni i ns dialoghi sono sempre così efficaci e brillanti e imperniati su argomenti degni di nota? Non direi).

E ancora:


Uomini abituati a vivere e agire nell’ombra, agili come gatti.

Agili come gatti, gatti che non esistono nel Mondo Emerso…

Che i gatti non esistono lo dice lei: se nel ME ci sono cavalli e draghi perché non dovrebbero esserci i gatti? Non stiamo mica parlando di koala! (essendo quest’ultimo un tipico animale australiano potrebbe effettivamente fuorviare, evocando appunto un’associazione con tale continente)

Detto ciò, mi preme affrontare un altro argomento gamberettiano: “Le avventure della giovane Laura”, il suo primo romanzo, volutamente parodico. Ora però questo carattere parodico si evince solo da una sua ammissione, e solo frequentando regolarmente il suo blog si può capire che è in realtà una presa in giro per gli scrittori fantasy dilettanti; in tutti gli altri casi, sembra solo una storia ridicola e scritta male. Dubito che i commenti positivi che ha ricevuto sarebbero stati così tanti se i lettori fossero stati a digiuno delle sue teorie e del suo modus operandi. Trai suddetti lettori mi ci metto anch’io. Leggendo il mio commento a distanza di tempo, mi rendo conto di essere stata influenzata dalle sue teorie (alcune, come la verosimiglianza e la scrittura semplice, tuttora le ritengo sacrosante, per carità): se avessi letto quel libro prima del mio approdo ai Gamberi dubito che sarei stata così clemente, probabilmente lo avrei trovato proprio brutto.

È interessante notare l’importanza che ha il contesto nella formulazione di giudizi e opinioni.

Tanto che il paragone con S1m0ne appare lampante. Qualsiasi cosa ella faccia, è applaudita perché considerata eccelsa a priori. Punto e basta. “Io sono un maiale” sembra proprio “Le avventure della giovane Laura”: il pubblico plaude il genio di S1m0ne così come quello di Gamberetta. Curiosa analogia. Che anche Gamberetta sia un’invenzione? Non ci avevo mai pensato, ma proprio sul blog di Giulia ho letto tale insinuazione e se dapprima non vi ho dato credito, poi mi sono resa conto che di lei effettivamente non si sa niente: non ha un cognome, mai una foto su internet, mai un luogo abitativo. E poi le coincidenze: è sempre così legata al Duca Carraronan, si citano a vicenda, collaborano spesso, le è stato vicino nel periodo brutto, le ha aperto una pagina su Facebook... Non sono una complottista, ma in effetti potrebbe essere. Sta di fatto che il personaggio di Gamberetta rimane avvolto da un alone di mistero (così come S1m0ne non si mostra mai in pubblico).

Comunque me ne frega poco: se sia veramente lei o il Duca travestito è irrilevante. Ciò che conta sono le sue recensioni e finora nessuno è riuscito a spiegare con la stessa perizia perché i suoi criteri siano errati né a proporre valide alternative di critica, ovvero critiche basate su criteri specifici e ben definiti (pur se diversi da quelli di Gamberetta).

lunedì 23 maggio 2011

La critica emozionale

Scrivo questo post, anche se non so se nessuno lo leggerà mai, perché le visite qui credo che siano piuttosto scarse, se non assenti (o cmq anche se qualcuno è mai passato di qua, non ha mai commentato).

Vorrei solo riflettere su alcuni argomenti che riguardano la critica. Mi riferisco alla critica letteraria in particolare, ma il concetto può essere esteso anche a quella musicale e via dicendo. C'è una vaga consapevolezza che la vera critica sia assente (quando parlo di vera critica mi riferisco a quella disinteressata e imparziale; quella attuale non è altro che mera pubblicità finanziata dalle case editrici/discografiche/cinematografiche), ma nonostante alcuni lo facciano notare, nessuno fa niente per cambiare, o meglio, nessuno propone valide alternative. L'unica che sta facendo qualcosa, nell'ambito della narrativa fantastica, è Gamberetta col suo blog dei gamberi. Lei ha fatto ciò che un critico deve fare: ha esplicitato le regole che sono alla base delle sue recensioni. Definito il metodo, lo ha usato.

Innanzitutto un primo dubbio: esiste anche nella musica/cinema/altro qualcuno o qualche sito/blog che faccia un lavoro del genere? Ovvero critiche suffragate da un corpus teorico ben definito e esplicitato?

Questa riflessione parte da un avvenimento di ieri: cercando una recensione musicale dell'album dell'Aguilera, sono incappata in un sito in cui il recensore era accusato di essere stato troppo di parte e la recensione non era per nulla obiettiva. Al che il tizio rispondeva che le recensioni sono sempre soggettive. Stiamo parlando di recensioni, non di opinioni. Se le recensioni sono così soggettive, che senso ha farle? Allora chiunque di noi può erigersi a critico. Io non capisco un'acca di musica, ma anch'io so benissimo dire se un album mi è piaciuto o meno e perché. E allora? Mi metto a fare il critico? No. Perché io sono convinta che bisogna conoscere ciò di cui si parla per poterlo criticare. Una volta assunto questo principio, occorre però mettersi d'accordo su quali criteri usare. E qui torniamo per un attimo al discorso della letteratura. Gamberetta, dicevo, ha posto paletti chiari riguardo ai criteri adottati nelle sue recensioni. E non solo: questi criteri non se li è inventati di sana pianta, ma sono suffragati da manuali e manuali di scrittura, in cui è riportato chiaramente il perché adottare certe regole nello scrivere aiuti a stendere un romanzo decente. E fin qui, tanti punti di merito a Gamberetta. Sono perfettamente d'accordo con il suo metodo e le sue regole. Ma c'è ancora un passo da fare. Le sue recensioni si basano su criteri razionali, oggettivi (o perlomeno presunti tali), ma la maggior parte delle scelte dell'essere umano sono dettate da azioni irrazionali, o se preferiamo, dettate dalle emozioni. Il successo di molti libri (non mi riferisco alle copie vendute, che dipendono da altri fattori, quali la pubblicità o popolarità dell'autore, ma all'apprezzamento ricevuto dal pubblico) si spiega proprio tenendo in considerazione le emozioni suscitate. Non è un caso che le Mary Sue preannuncino il successo di un'opera.

Ora riflettiamo sulle emozioni. Qual è la posizione che decidiamo di assumere in merito?

A) Sono soggettive, quindi non misurabili, quindi non criticabili -> non possono essere incluse in una recensione, la quale dovrà fondarsi solo su criteri oggettivi e razionali;

B) le emozioni hanno un valore, sono parte fondante della vita umana, devono essere considerate. Questo ovviamente è il punto di vista più problematico. Solleva non pochi dilemmi: è possibile valutarle in qualche modo? Ha senso? Oppure bisogna semplicemente prenderle in considerazione senza alcun giudizio di merito? In questo caso ci sarebbe solo un modo per calcolare il valore emozionale di un'opera: a più gente ha suscitato emozioni positive/è piaciuto, più vale.

Parrebbe quasi una contraddizione: io stessa ho iniziato inveendo contro il critico musicale che usava criteri soggettivi e ora mi ritrovo a parlare di emozioni soggettive e irrazionali. Allora aveva ragione lui? No, io non ho detto che le recensioni devono essere soggettive, ma che in esse bisogna tener conto della soggettività umana. Dico questo perché vorrei scongiurare l'arroccamento degli intellettuali: troppo spesso infatti al successo popolare si contrappone la critica intellettuale. Io vorrei che si superasse questa dicotomia. Perché troppo spesso ciò che è popolare deve essere considerato infimo? Non si rischia forse un pregiudizio?

La mia non vuole essere una "critica", ma al contrario una discussione costruttiva, per confrontarsi e sapere se c'è qualcuno (nell'ambito della letteratura, della musica o del cinema) che sta andando in questa direzione oppure no. E sapere se c'è anche qualche altro filosofo/letterato che si pone le mie stesse domande (e magari giunge anche a delle risposte).

domenica 30 gennaio 2011

Delirio di una pseudo-scrittrice

Leggendo il blog del Duca Carraronan, mi ha colpito una sua frase: “se cerchi l’originalità, c’è sempre qualcuno che l’ha pensato prima di te”. Ok, però è anche vero che in giro non si vede tutta questa originalità, anche al cinema i film con più successo, hanno sempre le solite trame banali. E’ rarissimo trovare qualcosa di veramente innovativo, e questo nonostante si legga in giro che esistono dei libri con trame variopinte. D’accordo, i film contano sulla massa, quindi l’originalità ha sempre il pericolo di non piacere a tutti, mentre l’ennesima copia del SdA o film d’azione-con-lovestory-trai-protagonisti avrà sempre i suoi seguaci. C’è però anche un altro fatto: nonostante le belle idee, sono pochi i libri belli; gli scrittori a livello di King sono rari. Anche tutti i famigerati blogger che sputano sentenze sul fentasi itagliano, spesso non sono più bravi di loro a scrivere; ok, sono più informati e professionali, ma non meno noiosi, anzi. Le cronache della Troisi sono molto più piacevoli della follia di Gamberetta, anche se meno weird e anche se per molti aspetti sono una cazzata, un delirio infantile. Lo stesso vale per tanti altri libri pubblicati: scrittura menosa e pesante (soprattutto per il fantasy) o, all’opposto, stile Swanwick: sa-solo-lui-quello-ke-cazzo-voleva-dire. Ed è qui che si inserisce il mio discorso, la mia mission: scrivere roba non noiosa. Stile essenziale, chiaro, piacevole, ma COMPRENSIBILE! E allo stesso tempo emozionante; il ritmo della narrazione deve corrispondere con il ritmo della storia: il lettore deve avere l’impressione di essere lì con i protagonisti, ed è per questo che trovo fondamentale anche l’introspezione dei personaggi per farli apparire più vivi. E se devo dire il numero di libri fantasy letti che erano scritti a questo modo è ZERO! Qualcuno esisterà, ma sono sempre la minoranza. Poi, secondo me, tutti questi pseudo recensori danno troppa importanza ai tecnicismi, sottovalutando l’aspetto emozionale, che ha un ruolo preponderante, o comunque non secondario, nella piacevolezza di un'opera.

sabato 29 gennaio 2011

Sito Web

Da un paio di settimane circa ho aperto il mio sito web: eccolo qui
Per il mio scopo un sito era più adatto di un blog, dato che ci posterò le anteprime dei miei romanzi, unite alla trama e a una breve descrizione dei personaggi. Perciò, d'ora in poi, questo blog ospiterà solo le comunicazioni in merito alle novità che mi riguardano, aggiornamenti del sito o news relative alle pubblicazioni.