venerdì 5 agosto 2011

Pensiero profondo n° 2bis: la vera Letteratura è noiosa

Ecco una dicotomia che ho sempre odiato: Letteratura impegnata vs letteratura divertente.
Avevo già accennato questo argomento parlando della critica emozionale, ma oggi vorrei approfondire questo discorso.
Il titolo di questo post è un riferimento non troppo velato a "L'eleganza del riccio"di Muriel Barbery, che stavo leggendo ieri. Ed è la frase seguente che mi ha suscitato queste riflessioni.

Cit: Per molto tempo ho ritenuto una fatalità che la settima arte fosse bella, potente e soporifera e che il cinema di intrattenimento fosse frivolo, piacevole e sconvolgente.

Perché si continua a sostenere che i romanzi piacevoli/divertenti devono essere per forza superficiali? E di riflesso le letture impegnate devono essere per forza narrate con una prosa ricercata e noiosa?

Ma chi l'ha detto?

La profondità nei temi trattati non deve accompagnarsi per forza a noia narrativa. Il contenuto deve essere "pesante", non lo stile. Un messaggio infatti è meglio veicolato se viene trasmesso in modo accattivante. Se mi annoio a pag.5 dubito che potrò trovare interessante le riflessioni di pag.50, visto che probabilmente chiuderò il libro prima.

E' ben radicato il preconcetto che se si vuole affrontare una lettura impegnativa bisogna essere disposti a farsi frantumare i maroni pagina dopo pagina.
Chissà perché poi la gente legge così poco?
E chissà perché i giovani non sono interessati alla narrativa? o_O
Già, un vero mistero che i giovani non siano disposti ad annoiarsi per centinaia di pagine. Gioventù bruciata!!

Io invece sostengo che tanto più il contenuto è impegnativo, tanto meno lo deve essere la prosa. Ciò non significa ovviamente scrivere con superficialità, ma scrivere in modo fresco, scorrevole, accattivante, e anche semplice; sì perchè se voglio che il mio messaggio/la mia storia raggiunga più persone possibili, devo fare in modo che risulti comprensibile alla maggior parte del pubblico (perciò è assolutamente controproducente adoperare termini in disuso dal 1708).

Nel cinema l'archetipo di questa mia posizione è ben sintetizzato ne "La vita è bella" di Benigni, dimostrazione di come un film riesca ad essere piacevolmente tragico. Uno degli argomenti più drammatici della nostra storia - l'olocausto - trasposto in modo non solo divertente, ma addirittura comico. Senza per altro mai sminuire l'importanza e la gravità del tema; anzi, la ridicolizzazione di alcuni comportamenti ne amplifica la tragicità.

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